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REGOLAMENTO SUL LAVORO NOTTURNO DELLE GpG

 

LIMITI ORARI E LIMITI AL LAVORO NOTTURNO DECRETO 532 DEL 26.11.99
Publicato da ADMIN su 3/6/2007 (16827 Letto)
LAVORO NOTTURNO La nuova disciplina – Decreto 532 del 26.11.99
INDICE LAVORO NOTTURNO

La nuova disciplina – Decreto 532 del 26.11.99
COSA SI INTENDE PER LAVORO NOTTURNO?
LIMITI ORARI LIMITI AL LAVORO NOTTURNO INFORMAZIONI E COMUNICAZIONI SANZIONI DURATA DELLA PRESTAZIONE
Circolare n. 68 del 21 giugno 2000: lavoro notturno
Direzione Generale dei Rapporti di Lavoro Circolare n.13/2000
DECRETO LEGISLATIVO 26 novembre 1999, n.532
I controlli del Ministero del Lavoro sul lavoro notturno
Causa c-303/98 – Tribunal Superior de Justicia de la Comunidad Valenciana
LAVORO NOTTURNO La nuova disciplina – Decreto 532 del 26.11.99 Il governo ha introdotto una disciplina del lavoro notturno, prevedendo vincoli e adempimenti con lo scopo principale di garantire la tutela della salute dei lavoratori notturni. La nuova disciplina e’ entrata in vigore il 5 febbraio 2000. COSA SI INTENDE PER LAVORO NOTTURNO? Lavoro notturno : e’ l’attività  svolta nel corso di un periodo di almeno sette ore consecutive comprendenti l’intervallo fra la mezzanotte e le cinque del mattino ; Lavoratore notturno : e’ il lavoratore che svolge sempre almeno tre ore del suo tempo di lavoro giornaliero durante il periodo notturno oppure il lavoratore che effettua lavoro notturno per un minimo di 80 giorni lavorativi all’anno ( limite da riproporzionare in caso di lavoro a tempo parziale). LIMITI ORARI. Come visto, si parla di lavoro notturno solo se la prestazione lavorativa svolta di notte dura almeno sette ore consecutive; ma esiste anche un limite massimo: l’articolo 4 stabilisce che la prestazione dei lavoratori notturni non può superare le otto ore nelle ventiquattro ore. Quindi saranno prestazioni di lavoro notturno, ad esempio, le seguenti : – dalle 22.00 alle 5.00 – dalle 22.00 alle 6.00 – dalle 23.00 alle 6.00 LIMITI AL LAVORO NOTTURNO. Al lavoro notturno devono essere adibiti innanzitutto i lavoratori che ne facciano richiesta ; tuttavia i contratti collettivi, possono stabilire ulteriori limiti o priorità  in relazione alla richiesta, da parte del datore di lavoro, di prestazioni di lavoro notturno. Un altro limite e’ rappresentato dalle condizioni di lavoro, che possono incidere sulla salute del lavoratore : il decreto stabilisce che i lavoratori notturni devono essere sottoposti ad accertamenti medici preventivi e periodici, nonché quando le condizioni di salute del lavoratore siano evidentemente incompatibili con il lavoro notturno. Inoltre, quando le condizioni di salute del lavoratore, accertate da un medico, rendano inidonea la prestazione di lavoro notturno, al dipendente in questione deve essere garantita una diversa mansione o ruolo che possano essere svolti di giorno. Sempre alla contrattazione collettiva e’ demandato il compito di prevedere eventuali riduzioni di orario settimanale e mensile per i lavoratori notturni, nonché la maggiorazione retributiva. INFORMAZIONI E COMUNICAZIONI Prima di introdurre il lavoro notturno, il datore di lavoro e’ tenuto a consultare i rappresentanti dei lavoratori, aziendali o territoriali. Nei confronti dei lavoratori e del rappresentante della sicurezza vige un obbligo di informazione relativo agli eventuali maggiori rischi che derivano dal lavoro svolto in orario notturno. Il settore ispezione del lavoro della direzione provinciale del lavoro ( ex ispettorato del lavoro ) deve, invece, essere informato dell’esecuzione di lavoro notturno svolto in modo continuativo o compreso in regolari turni periodici, quando lo stesso non sia previsto dal contratto collettivo. SANZIONI Il decreto prevede specifiche sanzioni a carico del datore di lavoro e del dirigente nei seguenti casi : – mancato accertamento, preventivo e periodico, dello stato di salute del lavoratore da adibire a lavoro notturno : arresto da tre a sei mesi o ammenda da lire tre milioni a lire otto milioni ; – mancato rispetto della durata massima della prestazione di lavoro notturno, cioè otto ore nelle 24 ore : – sanzione amministrativa da lire 100.000 a lire 3.000.000 per ogni giorno e per ogni lavoratore adibito a lavoro notturno oltre i limiti. DURATA DELLA PRESTAZIONE L’orario di lavoro dei lavoratori notturni non può superare le 8 ore nelle 24 ore; la contrattazione collettiva anche aziendale ( la quale preveda un orario di lavoro plurisettimanale ) ha la facolta’ di individuare un periodo di riferimento più ampio sul quale calcolare, come media, il suddetto limite. Cio’ significa che ci sono 2 condizioni da rispettare per poter superare le 8 ore ( su 24 ): la previsione da parte dei contratti collettivi ( anche aziendali ) di un’articolazione oraria su base plurisettimanale ; la previsione di un periodo di riferimento superiore alle 24 ore. Si specifica che debbono essere comprese, in tale ipotesi derogatoria, anche le articolazioni in giorni fissi su base settimanale (ad esempio i turni weekend). Circolare n. 68 del 21 giugno 2000: lavoro notturno In attuazione della Direttiva comunitaria 93/104, il Decreto Legislativo n. 532 del 26 novembre 1999 disciplina la fattispecie consistente nella prestazione lavorativa svolta con orario notturno. Le prescrizione del decreto in parola si applicano alla totalità  dei datori di lavoro che si trovino ad utilizzare lavoratori in prestazioni di lavoro notturno. Si ritiene opportuno riportare una sintesi delle disposizioni di maggiore importanza anche in considerazione di quanto previsto dalla recente Circolare n. 13/2000 emanata in materia dal Ministero del Lavoro. Definizione e perimetro di applicazione Si intende come lavoro notturno la prestazione lavorativa portata a termine durante un lasso di tempo di almeno sette ore consecutive comprendenti il periodo intercorrente tra la mezzanotte e le ore cinque del mattino. Per lavoratore notturno si intende: · qualunque lavoratore che, in via non eccezionale, presti la propria mansione di lavoro giornaliero durante il periodo notturno per almeno tre ore; · ogni lavoratore che, non in via eccezionale, svolga nel corso del periodo considerato come notturno almeno una parte del proprio orario lavorativo normale, secondo quanto definito nell’ambito della contrattazione nazionale collettiva. In assenza di tale disciplina, così come ricorre nel caso del contratto nazionale del settore edile, viene considerato lavoratore notturno qualsiasi lavoratore che svolga tale attività  per un periodo di tempo di almeno 80 giornate lavorative all’anno. Tale limite è riproporzionabile nel caso di lavoro part-time. In sostanza, per poter essere qualificato quale lavoratore notturno, lavoratore deve svolgere le proprie mansioni normalmente durante il periodo notturno. Limitazioni Vengono posti limiti alla possibilità  di prestare la propria opera nel periodo notturno alle donne instato di gravidanza e di puerperio ed ai soggetti minori. Soggetti interessati La disciplina in oggetto prevede che possano essere adibiti ad attività  da svolgersi nel corso del periodo notturno innanzitutto i lavoratori che ne facciano esplicita richiesta, alla luce delle necessità  organizzative ed operative dell’impresa. Durata delle prestazioni lavorative notturne La durata del lavoro notturno non può eccedere le otto ore nell’ambito delle ventiquattro ore giornaliere. Tale limite riferito alla durata della prestazione lavorativa notturna non viene applicata nei confronti dei dirigenti e del personale con mansioni direttive (quadri e lavoratori con funzioni direttive). Precauzioni che il datore di lavoro deve mettere in atto I lavoratori adibiti a mansioni notturne devono essere sottoposti, a cura ed a spese del datore di lavoro e tramite il medico competente, ad accertamenti: · preventivi, finalizzati ad accertare l’assenza di controindicazioni allo svolgimento del lavoro notturno e delle mansioni cui verranno adibiti nel corso della prestazione lavorativa; · periodici, con cadenza almeno biennale, per procedere alla verifica dello stato di salute; · eventuali, nell’ipotesi in cui si manifestino condizioni di salute evidentemente incompatibili con lo svolgimento della prestazione lavorativa notturna. Il Decreto Legislativo 26 novembre 1999, n. 532 provvede inoltre ad istituire la previsione di una consultazione sindacale preventiva all’esercizio del lavoro notturno, da effettuarsi entro sette giorni dalla comunicazione del datore di lavoro ai lavoratori interessati. Lo stesso datore di lavoro deve informare, in un momento precedente alla destinazione al lavoro notturno, i dipendenti ed il rappresentante della sicurezza, sui rischi esistenti in misura maggiore rispetto all’orario diurno – nel caso in cui i rischi stessi siano presenti – derivanti dall’esecuzione della prestazione lavorativa in orario notturno. Sta inoltre al datore di lavoro garantire l’informazione ai dipendenti in merito ai servizi attinenti la prevenzione e la sicurezza. Per quanto attiene le lavorazioni che nel corso della loro esecuzione comportino rischi particolari, il datore di lavoro deve consultarsi con i rappresentanti dei lavoratori per la sicurezza. I servizi ed i mezzi di prevenzione e di protezione devono poi essere garantiti in misura adeguata e quanto meno equivalente a quelli prestati nel corso del turno diurno. Il decreto in esame introduce inoltre a carico del datore di lavoro e dei dirigenti sanzioni pesanti, con previsione dell’arresto da tre a sei mesi o con l’ammenda da Lire 3.000.000 a Lire 8.000.000 nel caso in cui siano violate le norme relative alla tutela della salute e la sanzione amministrativa, da Lire 100.000 a Lire 300.000 per ogni giornata e per ogni lavoratore adibito al lavoro notturno nel caso in cui la prestazione lavorativa si svolga al di fuori dei limiti previsti per la durata della prestazione. Direzione Generale dei Rapporti di Lavoro Circolare n.13/2000 Roma, 14 marzo 2000 Ministero del Lavoro e della Previdenza Sociale DIREZIONE GENERALE DEI RAPPORTI DI LAVORO Divisione V Prot. n. 5/25829/70/lav.not. ALLE DIREZIONI REGIONALI I DEL LAVORO LORO SEDI ALLE DIREZIONI PROVINCIALI DEL LAVORO LORO SEDI ALLA REGIONE SICILIANA ASSESSORATO LAVORO E PREVIDENZA SOCIALE ISPETTORATO DEL LAVORO PALERMO ALLA PROVINCIA AUTONOMA DI BOLZANO ASSESSORATO LAVORO BOLZANO ALLA PROVINCIA AUTONOMA DI TRENTO ASSESSORATO LAVORO TRENTO AL SEVIZIO CONTROLLO INTERNO SEDE Oggetto: Nuove disposizioni in tema di ricorso al lavoro notturno – Decreto legislativo n. 532 del 26/11/99. Già  con l’art. 17, 1° comma della legge comunitaria ’98 si era adeguato l’ordinamento alla sentenza della Corte di giustizia 4.12.97 che aveva condannato l’Italia in ordine alla disparità  di trattamento tra uomo e donna relativamente alla disciplina dell’orario di lavoro notturno di queste ultime. Tuttavia, diversamente dalla direttiva comunitaria e dall’avviso comune Confindustria, CGIL, CISL e UIL del 12/11/97 in materia di orario di lavoro, il decreto legislativo in esame non contiene la disciplina organica in materia di orario di lavoro, limitando il suo intervento al solo lavoro “notturno”. In tal senso il Decreto Legislativo in esame ha dettato una disciplina transitoria del lavoro notturno “fino all’approvazione della legge organica in materia di orario di lavoro” come recita appunto l’inciso di apertura del secondo comma dell’art. 17. Viene introdotta, quindi, per la prima volta, nel nostro ordinamento la figura del “lavoratore notturno” e la nozione di “lavoro notturno” in precedenza non disciplinata sul piano legale. Ciò in quanto il lavoro notturno era regolato prevalentemente dai contratti collettivi, in correlazione anche con la previsione dell’art. 2108, 2° comma c.c. che stabiliva solo l’obbligo, per il datore di lavoro, di corrispondere una maggiorazione retributiva nel caso di lavoro notturno non compreso in regolari turni periodici. Ne scaturisce che la tutela del lavoro e dei lavoratori notturni – che si incentra in particolare sulla salvaguardia psicofisica dei soggetti – quale risulta dal testo in esame, è sicuramente superiore a quella prevista dalla disciplina legale previgente. àˆ da sottolineare come il decreto legislativo risulti coerente, nelle sue linee fondamentali, con i criteri direttivi della delega, con la citata direttiva comunitaria nonché, per larghi tratti, con il più volte richiamato accordo interconfederale del novembre ’97. 1.CAMPO DI APPLICAZIONE Il decreto legislativo, come recita il comma 1 dell’art. 1, riguarda tutti i datori di lavoro pubblici e privati (con la sola esclusione dei settori del trasporto aereo, ferroviario, stradale, marittimo, della navigazione interna, della pesca in mare, delle altre attività  di mare nonché delle attività  dei medici in formazione) che utilizzino lavoratori e lavoratrici con prestazioni di lavoro notturno, fatte salve le deroghe sopra richiamate che appaiono più limitate rispetto a quelle considerate dall’art. 17 della direttiva comunitaria. I dirigenti e direttivi (nell’accezione di cui alla circolare n. 10/2000 punto 5) nonché il personale addetto ai servizi di collaborazione familiare ed i lavoratori addetti al culto sono esclusi dalla previsione contenuta nel 1° comma dell’art. 4 del decreto, relativa alla durata dell’orario di lavoro dei lavoratori notturni. àˆ altresì previsto che, relativamente agli appartenenti a taluni speciali settori individuati al comma 2 art. 1 ( forze armate, polizia, vigili del fuoco ecc. ) le norme del decreto si applichino tenendo conto delle particolari esigenze connesse al servizio espletato e con le modalità  individuate da appositi decreti ministeriali. Giova, inoltre, sottolineare che, tra le attività  degli organi in materia di ordine e sicurezza pubblica di cui al citato comma 2 si ritiene rientri anche l’attività  di vigilanza privata trattandosi, peraltro, di attività  finalizzata al pubblico interesse. DEFINIZIONE DI LAVORO E DI LAVORATORE NOTTURNO Il lavoro notturno va inteso – secondo l’espresso dettato legislativo (art. 2, comma. 1, lett. a) – come attività  svolta nel corso di un periodo di almeno 7 ore consecutive comprendenti l’intervallo fra la mezzanotte e le cinque del mattino. Questo significa che, a prescindere dalla eventuale maggiorazione retributiva prevista dai contratti collettivi di categoria, il periodo da considerare come “notturno” non deve essere inferiore alle 7 ore consecutive all’interno delle quali deve essere ricompreso l’intervallo tra le 24 e le 5 del mattino. Quindi il lavoro notturno è quello svolto, consecutivamente, tra: – a: le ore 22 e le ore 5 – b: le ore 23 e le ore 6 – c: le ore 24 e le ore 7 L’art. 2, co. 1, lett. b) introduce la nozione di “lavoratore notturno” che va riferita all’orario giornaliero ovvero settimanale, mensile o annuo. Con riferimento all’orario giornaliero è lavoratore notturno chiunque svolga, in via non occasionale, almeno 3 ore del suo tempo di lavoro. In questo caso occorre far riferimento alla definizione di lavoro notturno indicata dal contratto collettivo: infatti, se il contratto ha individuato come lavoro notturno il periodo tra le 23 e le 6, il lavoratore sarà  considerato “notturno” a fronte di una prestazione che comprenda, ad esempio, almeno l’intervallo tra le 23 e le 2. àˆ considerato, altresì, lavoratore notturno chiunque svolga, in via non eccezionale, almeno una “parte” del suo orario normale durante il periodo notturno. Questa “parte” dovrà  essere definita dalla contrattazione collettiva. In mancanza di specifica disposizione del contratto collettivo, è considerato lavoratore notturno chiunque svolga, per almeno 80 giorni all’anno, lavoro notturno nell’ambito dei limiti temporali sopra specificati. Giova sottolineare, in definitiva, che per poter essere considerato “lavoratore notturno”, il prestatore di lavoro deve svolgere le proprie mansioni di notte in via normale; la prestazione quindi non deve avere carattere eccezionale. 1.LIMITAZIONI AL LAVORO NOTTURNO Coerenti con i principi di delega sono le limitazioni al lavoro notturno disposte dall’art. 3 del decreto legislativo. Sottolineato il principio della priorità  della volontarietà  nell’effettuazione del lavoro notturno, tenuto conto delle esigenze aziendali (in conformità  al criterio stabilito dall’art. 17, 2° comma, lett. c) legge comunitaria 98) e ribaditi i limiti previsti dall’art. 5, commi 1 e 2 Legge 903/77 come sostituito dall’art. 17, comma 1° legge 25/99, il decreto legislativo demanda alla contrattazione collettiva la determinazione di ulteriori limitazioni ovvero di ulteriori priorità . DURATA DELLA PRESTAZIONE Mancando una specifica previsione nella norma di delega, l’art. 4 del decreto in esame relativo alla durata della prestazione, risulta coerente con l’art. 8 della direttiva comunitaria nonché con l’accordo interconfederale. Alla contrattazione collettiva, anche aziendale, che preveda un orario di lavoro plurisettimanale, è riconosciuta la facoltà  di individuare un periodo di riferimento più ampio sul quale calcolare, come media, il limite massimo di 8 ore di lavoro che il decreto riferisce ad un periodo di riferimento di 24 ore. In altri termini, le condizioni per superare (da parte dei lavoratori notturni, le 8 ore ( nelle 24 ore) sono due: – a: la previsione da parte dei contratti collettivi, anche aziendali, di un’articolazione oraria su base plurisettimanale; – b: la previsione di un periodo di riferimento più ampio delle 24 ore. In questa ipotesi derogatoria si ritiene debbano essere comprese anche le articolazioni in giorni fissi su base settimanale (ad es. i c.d. turni week-end). Le condizioni di cui alle lettere a) e b) si devono intendere già  realizzate dai contratti collettivi nazionali che prevedono orari plurisettimanali e che stabiliscono un orario settimanale da calcolarsi come media in un periodo più ampio. Nel computo della media di cui al citato art. 4, comma 1 non si deve, peraltro, tener conto del periodo di riposo settimanale di 24 ore di cui agli artt. 1 e 3 della legge 370/1934 se questo cade nel periodo di riferimento stabilito dai contratti collettivi di cui al precitato comma 1 dell’art. 4. Il conferimento all’autonomia negoziale del compito di disciplinare quegli aspetti dell’istituto che maggiormente incidono sull’organizzazione del lavoro si rinviene anche in ordine alla individuazione delle modalità  di assegnazione del lavoratore notturno ad altre mansioni o ruoli diurni nel caso in cui sopraggiungano condizioni di salute che comportano l’inidonietà  accertata dal “medico competente” (così come individuato dall’art. 17 del Decreto legislativo 626/94) alla prestazione di lavoro notturno. Anche la riduzione dell’orario di lavoro normale e la relativa maggiorazione retributiva saranno oggetto di determinazione negoziale (art.7, co. 1). Si tratta di una indicazione di politica sindacale che, tuttavia, non comporta alcun cumulo fra la generica previsione dell’art.7, co.1 e quanto già  riconosciuto dalla contrattazione collettiva in materia di riduzioni di orario e di maggiorazioni. Più in particolare, per quanto attiene allo specifico trattamento economico, l’indicazione della legge non si traduce in un onere aggiuntivo rispetto alle disposizioni della contrattazione collettiva che già  stabiliscono maggiorazioni o trattamenti indennitari per i lavoratori notturni, anche se inseriti in turni avvicendati. Al riguardo, si ritiene opportuno chiarire che la riduzione di orario e la maggiorazione retributiva potranno essere stabilite dalla contrattazione collettiva solo nel caso di prestazioni di lavoro notturno come definito al punto 2). In tema di rapporti sindacali è previsto, invece, prima dell’introduzione del lavoro notturno, l’obbligo di una preventiva consultazione con le parti sociali (art. 8). Tale previsione è riferibile all’ipotesi in cui il lavoro notturno venga introdotto ex novo, ma non incide sulle situazioni già  in atto alla data di entrata in vigore del decreto legislativo in esame. Solo un’informativa, comunque, deve essere data ai lavoratori sui rischi derivanti dallo svolgimento del lavoro notturno e sui servizi per la prevenzione e la sicurezza (art.9). A differenza del precedente, si ritiene che questo sia un adempimento che occorrerà  verificare se, con riferimento alle situazioni in atto, possa risultare o no già  assolto dovendosi, in caso contrario, procedere ad un’adeguata informazione. La stessa informativa deve essere resa alle rappresentanze sindacali unitarie o alle rappresentanze sindacali aziendali o, in mancanza, alle associazioni territoriali di categoria aderenti alle confederazioni dei lavoratori comparativamente più rappresentative sul piano nazionale. Infine, relativamente all’obbligo di comunicazione, da parte del datore di lavoro, del lavoro notturno alla competente DPL – Sezione ispezione del lavoro – l’art. 10 del provvedimento riprende, su questo punto, sia l’art. 11 della direttiva comunitaria sia l’accordo interconfederale, anche se la norma di delega non prevede specificatamente nulla al riguardo. 1.SANZIONI Sul piano delle sanzioni, l’art. 12 del decreto legislativo in esame, in coerenza con il nuovo assetto del sistema sanzionatorio risultante dal Decreto legislativo 758/94 – che limita le sanzioni di carattere penale alle sole violazioni delle norme di sicurezza e di igiene del lavoro – contempla l’irrogazione della sanzione di cui all’art. 89, comma 2, lett. a) del decreto legislativo 626/94 (arresto da 3 a 6 mesi o ammenda da £ 3.000.000 a £ 8.000.000 ) per la violazione dell’art. 5 e cioè degli obblighi di sottoporre i lavoratori notturni alle prescritte visite mediche preventive periodiche ovvero ad accertamenti sanitari in caso di evidenti condizioni di salute incompatibili con il lavoro notturno. àˆ punita, invece, con una sanzione amministrativa (da £ 100.000 a £ 300.000 per ogni giorno e per ogni lavoratore) l’adibizione del lavoratore al lavoro notturno oltre i limiti temporali previsti dall’art. 4. IL SOTTOSEGRETARIO DI STATO DELEGATO (DOTT. RAFFAELE MORESE) DECRETO LEGISLATIVO 26 novembre 1999, n.532 Disposizioni in materia di lavoro notturno, a norma dell’articolo 17, comma 2, della legge 5 febbraio 1999, n. 25. IL PRESIDENTE DELLA REPUBBLICA Visti gli articoli 76 e 87 della Costituzione; Vista la direttiva n. 93/104/CE del Consiglio del 23 novembre 1993,concernente taluni aspetti dell’organizzazione dell’orario di lavoro, ed in particolare gli articoli 8, 9, 10, 11 e 12; Visto l’articolo 17, comma 2, della legge 5 febbraio 1999, n. 25; Visto l’articolo 45 della legge 17 maggio 1999, n. 144, come modificato dall’articolo 1, comma 2, lettera b), della legge 2 agosto 1999, n. 263, di conversione in legge, con modificazioni, del decreto-legge 1° luglio 1999, n. 214; Vista la preliminare deliberazione del Consiglio dei Ministri, adottata nella riunione del 5 novembre 1999; Visto il parere della Conferenza unificata di cui all’articolo 8 del decreto legislativo 28 agosto 1997, n. 281; Acquisiti i pareri delle competenti commissioni permanenti della Camera dei deputati e del Senato della Repubblica; Vista la deliberazione del Consiglio dei Ministri, adottata nella riunione del 26 novembre 1999; Sulla proposta del Presidente del Consiglio dei Ministri, del Ministro per le politiche comunitarie e del Ministro del lavoro e della previdenza sociale, di concerto con i Ministri della sanità , degli affari esteri, della giustizia, del tesoro, del bilancio e della programmazione economica, per la funzione pubblica e per gli affari regionali; Emana il seguente decreto legislativo: Art. 1. Campo di applicazione 1. Il presente decreto si applica a tutti i datori di lavoro pubblici e privati che utilizzino lavoratori e lavoratrici con prestazioni di lavoro notturno, ad eccezione di quelli operanti nei settori del trasporto aereo, ferroviario, stradario, marittimo, della navigazione interna, della pesca in mare, delle altre attività  in mare, nonché delle attività  dei medici in formazione. Nei confronti del personale dirigente e direttivo, del personale addetto ai servizi di collaborazione familiare e dei lavoratori addetti al culto dipendenti da enti ecclesiastici o da confessioni religiose, non trova applicazione la disposizione di cui all’articolo 4. 2. Nei riguardi delle forze armate e di polizia, dei servizi di protezione civile, ivi compresi quelli del Corpo nazionale dei vigili del fuoco, nonché nell’ambito delle strutture giudiziarie, penitenziarie, di quelle destinate per finalità  istituzionali alle attività  degli organi con compiti in materia di ordine e sicurezza pubblica, le norme del presente decreto sono applicate tenendo conto delle particolari esigenze connesse al servizio espletato e per la specifica disciplina del rapporto di impiego, con le modalità  individuate con decreto del Ministro competente, di concerto con i Ministri del lavoro e della previdenza sociale, della sanità , del tesoro, del bilancio e della programmazione economica e per la funzione pubblica, da emanarsi entro centoventi giorni dalla data di entrata in vigore del presente decreto. Art. 2. Definizioni 1. Agli effetti delle disposizioni di cui al presente decreto si intende per: a) lavoro notturno: l’attività  svolta nel corso di un periodo di almeno sette ore consecutive comprendenti l’intervallo fra la mezzanotte e le cinque del mattino; b) lavoratore notturno: 1) qualsiasi lavoratore che durante il periodo notturno svolga, in via non eccezionale, almeno tre ore del suo tempo di lavoro giornaliero; 2) qualsiasi lavoratore che svolga, in via non eccezionale, durante il periodo notturno almeno una parte del suo orario di lavoro normale secondo le norme definite dal contratto collettivo nazionale di lavoro. In difetto di disciplina collettiva è considerato lavoratore notturno qualsiasi lavoratore che svolga lavoro notturno per un minimo di ottanta giorni lavorativi all’anno; il suddetto limite minimo è riproporzionato in caso di lavoro a tempo parziale. 2. I contratti collettivi individuano le condizioni e i casi di eccezionalità  nell’adibizione al lavoro notturno di cui al comma 1,lettere a) e b). Art. 3. Limitazioni al lavoro notturno 1. Sono adibiti al lavoro notturno con priorità  assoluta i lavoratori e le lavoratrici che ne facciano richiesta, tenuto conto delle esigenze organizzative aziendali. 2. Fuori dei casi previsti dall’articolo 5, commi 1 e 2, della legge 9 dicembre 1977, n. 903, come sostituito dall’articolo 17, comma 1, della legge 5 febbraio 1999, n. 25, e dall’articolo 15 del decreto legislativo 4 agosto 1999, n. 345, la contrattazione collettiva può determinare ulteriori limitazioni all’effettuazione del lavoro notturno, ovvero ulteriori priorità  rispetto a quelle di cui al comma 1. Art. 4. Durata della prestazione 1. L’orario di lavoro dei lavoratori notturni non può superare le otto ore nelle ventiquattro ore, salvo l’individuazione da parte dei contratti collettivi, anche aziendali, che prevedano un orario di lavoro plurisettimanale, di un periodo di riferimento più ampio sul quale calcolare come media il suddetto limite. 2. Entro centoventi giorni dalla data di entrata in vigore del presente decreto, con decreto del Ministro del lavoro e della previdenza sociale, previa consultazione delle organizzazioni sindacali nazionali di categoria comparativamente più rappresentative e delle organizzazioni nazionali dei datori di lavoro, viene stabilito un elenco delle lavorazioni che comportano rischi particolari o rilevanti tensioni fisiche o mentali, il cui limite e’ di otto ore nel caso di ogni periodo di ventiquattro ore. 3. Il periodo minimo di riposo settimanale di cui agli articoli 1 e 3 della legge 22 febbraio 1934, n. 370, non viene preso in considerazione per il computo della media se cade nel periodo di riferimento stabilito dai contratti collettivi di cui al comma 1. Art. 5. Tutela della salute 1. I lavoratori notturni devono essere sottoposti a cura e a spese del datore di lavoro, per il tramite del medico competente di cui all’articolo 17 del decreto legislativo 19 settembre 1994, n. 626, come modificato dal decreto legislativo 19 marzo 1996, n. 242: a) ad accertamenti preventivi volti a constatare l’assenza di controindicazioni al lavoro notturno a cui sono adibiti; b) ad accertamenti periodici almeno ogni due anni per controllare il loro stato di salute; c) ad accertamenti in caso di evidenti condizioni di salute incompatibili con il lavoro notturno. Art. 6. Trasferimento al lavoro diurno 1. Nel caso in cui sopraggiungano condizioni di salute che comportano l’inidoneità  alla prestazione di lavoro notturno, accertata tramite il medico competente, è garantita al lavoratore l’assegnazione ad altre mansioni o altri ruoli diurni. 2. La contrattazione collettiva definisce le modalità  di applicazione delle disposizioni di cui al comma 1 e individua le soluzioni nel caso in cui l’assegnazione prevista dal citato comma non risulti applicabile. Art. 7. Riduzione dell’orario di lavoro e maggiorazione retributiva 1. La contrattazione collettiva stabilisce la riduzione dell’orario di lavoro normale settimanale e mensile nei confronti dei lavoratori notturni e la relativa maggiorazione retributiva. 2. Il Ministro del lavoro e della previdenza sociale provvede a verificare periodicamente, e almeno annualmente, le disposizioni introdotte dai contratti collettivi nazionali ai sensi del comma 1. Art. 8. Rapporti sindacali 1. L’introduzione del lavoro notturno è preceduta dalla consultazione delle rappresentanze sindacali unitarie, ovvero delle rappresentanze sindacali aziendali e, in mancanza, delle associazioni territoriali di categoria aderenti alle confederazioni dei lavoratori comparativamente più rappresentative sul piano nazionale; la consultazione è effettuata e conclusa entro sette giorni a decorrere dalla comunicazione del datore di lavoro. Art. 9. Doveri di informazione 1. Il datore di lavoro, prima dell’adibizione al lavoro, informa i lavoratori notturni e il rappresentante della sicurezza sui maggiori rischi derivanti dallo svolgimento del lavoro notturno, ove presenti. 2. Il datore di lavoro garantisce l’informazione sui servizi per la prevenzione e la sicurezza, nonché la consultazione dei rappresentanti dei lavoratori per la sicurezza, ovvero delle organizzazioni sindacali di cui all’articolo 8, per le lavorazioni che comportano i rischi particolari di cui all’articolo 4, comma 2. Art. 10. Comunicazione del lavoro notturno 1. Il datore di lavoro informa per iscritto la direzione provinciale del lavoro – settore ispezione del lavoro, competente per territorio, con periodicità  annuale, dell’esecuzione di lavoro notturno svolto in modo continuativo o compreso in regolari turni periodici, quando esso non sia previsto dal contratto collettivo;tale informativa va estesa alle organizzazioni sindacali di cui all’articolo 8. Resta fermo quanto previsto dall’articolo 12 del regio decreto 10 settembre 1923, n. 1955. Art. 11. Misure di protezione personale e collettiva 1. Durante il lavoro notturno il datore di lavoro garantisce, previa informativa alle rappresentanze sindacali di cui all’articolo 8, un livello di servizi e di mezzi di prevenzione o di protezione adeguati alle caratteristiche del lavoro notturno e assicura un livello di servizi equivalente a quello previsto per il turno diurno. 2. Il datore di lavoro, previa consultazione con le rappresentanze sindacali di cui all’articolo 8, dispone, ai sensi degli articoli 40 e seguenti del decreto legislativo 19 settembre 1994, n. 626, per i lavoratori notturni che effettuano le lavorazioni che comportano rischi particolari di cui all’elenco definito dall’articolo 4, comma 2, appropriate misure di protezione personale e collettiva. 3. I contratti collettivi possono prevedere modalità  e specifiche misure di prevenzione relativamente alle prestazioni di lavoro notturno di particolari categorie di lavoratori, quali quelle individuate con riferimento alla legge 5 giugno 1990, n. 135, e alla legge 26 giugno 1990, n. 162. Art. 12. Sanzioni 1. Il datore di lavoro e il dirigente sono puniti: a) con la sanzione di cui all’articolo 89, comma 2, lettera a), del decreto legislativo 19 settembre 1994, n. 626, per la violazione della disposizione di cui all’articolo 5; b) con la sanzione amministrativa da L. 100.000 a L. 300.000 per ogni giorno e per ogni lavoratore adibito al lavoro notturno oltre i limiti temporali di cui all’articolo 4. Il presente decreto, munito del sigillo dello Stato, sarà  inserito nella Raccolta ufficiale degli atti normativi della Repubblica italiana. àˆ fatto obbligo a chiunque spetti di osservarlo e di farlo osservare. Dato a Roma, addì 26 novembre 1999 CIAMPI D’Alema, Presidente del Consiglio dei Ministri Letta, Ministro per le politiche comunitarie Salvi, Ministro del lavoro e della previdenza sociale Bindi, Ministro della sanita’ Dini, Ministro degli affari esteri Diliberto, Ministro della giustizia Amato, Ministro del tesoro, del bilancio e della programmazione economica Piazza, Ministro per la funzione pubblica Bellillo, Ministro per gli affari regionali Visto, il Guardasigilli: Diliberto IGIENE DEL LAVORO I controlli del Ministero del Lavoro sul lavoro notturno di Luigi Caiazza – Capo Servizio Centrale Ispettorato del Lavoro del Ministero del lavoro Il Ministero del Lavoro con Circ. 14 marzo 2000, n. 13 al fine di chiarire alcuni aspetti della legge che avrebbero potuto determinare possibili incomprensioni, ha dettato, per i propri uffici periferici, alcune necessarie precisazioni. Definizione. Durata. Limitazioni. Sicurezza. Comunicazioni e consultazioni. Sistema sanzionatorio. Con D.Lgs. 26 novembre 1999, n. 532 il legislatore italiano dà  piena attuazione alla direttiva n. 93/104/CEE del Consiglio del 23 novembre 1993 concernente alcuni aspetti dell’organizzazione del lavoro. In effetti, già  il Parlamento con L. 5 febbraio 1999, n. 25 (art. 17, comma 2), aveva conferito la delega al Governo per il recepimento della direttiva sopra citata, riferita al lavoro notturno. Il campo di applicazione della nuova legge, che non trova precedenti se non per determinati speciali rapporti di lavoro, è abbastanza generalizzato. Sono tuttavia esclusi i lavoratori operanti nei vari settori dei trasporti – aerei, marittimi e terrestri – della pesca in mare e dei medici in formazione. Per tutti gli altri settori, pubblici e privati, il decreto legislativo, pur prevedendo alcune misure particolari (es. forze armate, polizia, vigili del fuoco, ecc.), trova piena applicazione. Il Ministero del lavoro con Circ. n. 13 del 14 marzo scorso, al fine di chiarire alcuni aspetti della legge che avrebbero potuto determinare possibili incomprensioni, ha dettato, per i propri uffici periferici, alcune necessarie precisazioni. In via preliminare è stato precisato che non concretizzando, il decreto in esame, la previsione della direttiva comunitaria, tesa a disciplinare in maniera organica la materia dell’orario di lavoro, ma è lo strumento, provvisorio, idoneo a regolamentare tale particolare attività , fornisce tuttavia una reale tutela di lavoratori che prestano la propria attività  in orario notturno. DEFINIZIONE Da qui la necessaria definizione che viene data per lavoro notturno, inteso come l'”attività  svolta nel corso di un periodo di almeno sette ore consecutive comprendenti l’intervallo fra la mezzanotte e le cinque del mattino”. àˆ, pertanto, da considerarsi come “notturno” il lavoro che non sia inferiore alle sette ore consecutive all’interno delle quali vi deve essere contenuta la fascia oraria tra le 24 e le 5 del mattino. Più semplicemente è considerato lavoro notturno quello prestato: — dalle ore 22 alle ore 5; — dalle ore 23 alle ore 6; — dalle ore 24 alle ore 7. Il legislatore definisce poi il “lavoratore notturno” in relazione all’orario giornaliero, settimanale, mensile o annuo. Così, è considerato lavoratore notturno chiunque svolga, in via non eccezionale, almeno tre ore del proprio orario di lavoro durante il periodo notturno come sopra indicato. Può ancora considerarsi lavoratore notturno chiunque svolga, in via non eccezionale, “una parte” del suo normale orario di lavoro durante il periodo notturno come sopra indicato. DURATA Il contratto collettivo nazionale stabilirà  la durata di tale “parte” di orario normale di lavoro. In assenza di disciplina contrattuale, ai fini della definizione di lavoratore notturno, viene assunto il valore di un minimo di ottanta giornate lavorative notturne come sopra definite. àˆ da aggiungere, ancora, che spetterà  sempre ai contratti collettivi – non è precisato dalla legge, né dalla circolare se trattasi solo di quelli nazionali, ovvero anche di quelli aziendali – stabilire quali siano i casi di eccezionalità  ai quali si è fatto sopra riferimento. LIMITAZIONI In merito alla limitazione del lavoro notturno, il decreto in esame pone un principio essenziale, fermo restando le esigenze organizzative aziendali, secondo il quale esso è disposto con carattere di “priorità ” nei confronti di lavoratori e lavoratrici che ne facciano richiesta. Si parte dunque da una base volontaristica. Sarà  comunque possibile alla contrattazione collettiva individuare eventuali ulteriori priorità . Il decreto, nel confermare le limitazioni già  previste per le donne in stato di gravidanza fino al compimento di un anno di età  del bambino (art. 17, comma 1, L. 5 febbraio 1999, n. 25, che ha sostituito i primi due commi dell’art. 5, L. 9 dicembre 1977, n. 903), nonché per i minori (art. 15, D.Lgs. 4 agosto 1999, n. 345), crea una sorta di delegificazione, demandando alla contrattazione collettiva (solo nazionale) la possibilità  di determinare ulteriori limitazioni al lavoro notturno. Un’ulteriore sorta di delegificazione è individuata, altresì, in merito alla durata della prestazione complessiva giornaliera del lavoratore notturno così come sopra definito. àˆ un particolare notevole in quanto il legislatore, a differenza di altre categorie di lavoratori, prevede, questa volta, la limitazione della prestazione giornaliera. In tale ipotesi, dunque, è sancito che la durata della prestazione giornaliera è prevista: — dalla contrattazione collettiva nazionale o anche aziendale che disciplinino l’orario di lavoro plurisettimanale (D.M. 3 agosto 1999) in relazione al quale se ne individui la media in 8 ore giornaliere; — in mancanza di disciplina contrattuale, come sopra articolata, l’orario di lavoro complessivo non potrà  superare le otto ore nell’arco delle ventiquattro ore. Il ricorso all’articolazione dell’orario di lavoro a periodi plurisettimanali – ove, fermo restando la media legale, sarebbe possibile in alcune fasce superare le stesse otto ore – non è generalizzato, ma potrà  essere escluso per quelle attività  che comportano rischi particolari o rilevanti tensioni fisiche o mentali, da determinarsi con apposito decreto. Per tali lavorazioni la prestazione giornaliera non potrà  in ogni caso superare le otto ore nell’arco delle ventiquattro ore. SICUREZZA Il lavoro notturno così come definito ed i lavoratori notturni rientranti nelle ipotesi sopra citate, entrano nelle procedure di tutela disciplinate dal D.Lgs. 19 settembre 1994, n. 626 e successive variazioni. Infatti nei confronti dei suddetti “lavoratori notturni”, il datore di lavoro deve provvedere, tramite il medico competente: —alle visite mediche preventive tese ad accertare che in tali lavoratori non sussistano controindicazioni per le prestazioni notturne; — alle visite mediche periodiche, almeno ogni due anni, per accertare il loro stato di salute; — alle visite mediche in caso di evidenti condizioni di salute incompatibili con il lavoro notturno che potranno essere evidentemente segnalate dallo stesso lavoratore al proprio datore di lavoro. Nel caso di accertata inidoneità  al lavoro notturno, in costanza di rapporto di lavoro, diagnosticata dal medico competente, deve essere garantita al lavoratore l’assegnazione ad altre mansioni o altri ruoli diurni. Tuttavia, sarà  oggetto di contrattazione collettiva la definizione delle modalità  di applicazione di quest’ultima disposizione e l’individuazione di quei determinati casi in cui non risulti possibile tale principio e, pertanto, si possa giungere, in ultima analisi alla risoluzione del rapporto di lavoro. Sempre in correlazione con il D.Lgs. n.626/1994 a carico del datore di lavoro, che esegua lavoro notturno nei termini sopra esposti, vige l’obbligo di procedere, nei confronti dei lavoratori notturni e del rappresentante della sicurezza: — all’informazione sui maggiori rischi derivanti dallo svolgimento del lavoro notturno; — all’informazione sui servizi per la prevenzione e la sicurezza; nonché alla: — consultazione dei rappresentanti della sicurezza dei lavoratori; — consultazione delle organizzazioni sindacali dei lavoratori (RSU ovvero alle RSA e, in mancanza, associazioni territoriali di categoria aderenti alle confederazioni dei lavoratori comparativamente più rappresentative sul piano nazionale) per le lavorazioni che comportano i rischi particolari che saranno individuate con apposito decreto ministeriale. COMUNICAZIONI E CONSULTAZIONI L’esecuzione del lavoro notturno deve essere preceduta dalla consultazione con le RSU, ovvero con le RSA, in mancanza, con le associazioni territoriali di categoria aderenti alle confederazioni dei lavoratori comparativamente più rappresentative sul piano nazionale. Il datore di lavoro deve informare per iscritto la Direzione Provinciale del Lavoro, competente per territorio, con periodicità  annuale sull’esecuzione del lavoro notturno svolto in modo continuativo e compreso in regolari turni periodici, sempre che, però, tale lavoro non sia già  previsto dal contratto collettivo applicato in azienda. La comunicazione di cui sopra va altresì inviata alle stesse organizzazioni sindacali con le quali è precedentemente intervenuta la consultazione. SISTEMA SANZIONATORIO La circolare ministeriale pone in rilievo la scelta fatta dal legislatore in coerenza con il nuovo assetto sanzionatorio risultante dal D.Lgs. n.758/1994 – che limita le sanzioni penali alle sole violazioni delle norme di sicurezza ed igiene del lavoro – prevede l’applicazione della sanzione penale, appunto, prevista dall’art. 89, comma 2, lett. a), del D.Lgs. n.626/1994 (arresto da tre a sei mesi o ammenda da lire tre milioni a otto milioni) per la violazione agli obblighi di sottoporre i lavoratori notturni alle preventive visite mediche. àˆ punita invece con la sanzione amministrativa (da L. 100.000 a L.300.000 per ogni giorno e per ogni lavoratore) l’adibizione del lavoratore al lavoro notturno oltre i limiti temporali sopra indicati. Causa c-303/98 – Tribunal Superior de Justicia de la Comunidad Valenciana) CONCLUSIONI DELL’AVVOCATO GENERALE ANTONIO SAGGIO presentate il 16 dicembre 1999 (1) Causa C-303/98 Sindicato de Médicos de Asistencia Pàºblica (SIMAP) contro Consellerà­a de Sanidad y Consumo de la Generalidad Valenciana (domanda di pronuncia pregiudiziale, proposta dal Tribunal Superior de Justicia de la Comunidad Valenciana) «Politica sociale – Protezione della sicurezza e della salute dei lavoratori – Orario di lavoro – Direttiva 93/104/CE – Ambito di applicazione – Medici di équipe di pronto soccorso – Inclusione nell’orario di lavoro del turno di guardia e del periodo di reperibilità  – Applicazione al turno di guardia e al periodo di reperibilità  delle disposizioni sul lavoro notturno e sul lavoro a turni» Oggetto dei quesiti pregiudiziali 1. Con il presente rinvio pregiudiziale il Tribunal Superior de Justicia de la Comunidad Valenciana vi propone più quesiti aventi ad oggetto l’interpretazione della direttiva 93/104/CE del Consiglio, del 23 novembre 1993, concernente taluni aspetti dell’organizzazione dell’orario di lavoro (2) (in prosieguo: la «direttiva 93/104» o la «direttiva»). Al centro delle questioni poste dal giudice di rinvio vi è l’attività  dei medici che fanno parte di équipe di pronto soccorso. Il giudice nazionale in particolare intende sapere se il tempo dedicato all’attività  di guardia, con presenza fissa nel centro sanitario o in regime di reperibilità , vada considerato «orario di lavoro» ai sensi e per gli effetti della direttiva e quindi se tale tempo vada computato nel calcolo delle ore di lavoro ai fini dell’applicazione della norma che fissa in 48 ore la durata massima settimanale di lavoro (art. 6 della direttiva) e se, per l’innalzamento del tetto massimo, il consenso espresso dai rappresentanti sindacali nel quadro di un accordo o di un contratto collettivo possa far venir meno il divieto del datore di lavoro, previsto dall’art. 18, n. 1, lett. b), primo trattino, della direttiva, di chiedere al lavoratore di prestare la propria attività  per un periodo superiore alle 48 ore settimanali senza aver ottenuto «il consenso» del medesimo. Quadro giuridico Normativa comunitaria 2. L’art. 118 A del Trattato attribuisce al Consiglio la competenza a stabilire, mediante direttiva, le prescrizioni minime volte a «promuovere il miglioramento in particolare dell’ambiente di lavoro per tutelare la sicurezza e la salute dei lavoratori» (nn. 1 e 2). 3. La direttiva di base in materia è quella adottata dal Consiglio il 12 giugno 1989, 89/391/CEE, la quale verte appunto sull’attuazione di misure volte a promuovere il miglioramento della sicurezza e della salute dei lavoratori durante il lavoro (3) (in prosieguo: la «direttiva di base») e definisce i principi generali in materia di sicurezza e di salute dei lavoratori, principi che sono stati in seguito sviluppati da una serie di direttive specifiche, tra le quali figura appunto la direttiva 93/104. 4. Quest’ultima direttiva contiene, così come indicato all’art. 1, n. 1, «prescrizioni minime di sicurezza e di salute in materia di organizzazione dell’orario di lavoro». 5. Inoltre essa precisa che ai sensi della direttiva si intende per «orario di lavoro» «qualsiasi periodo in cui il lavoratore sia al lavoro, a disposizione del datore di lavoro e nell’esercizio della sua attività  o delle sue funzioni conformemente alle legislazioni e/o prassi nazionali» e per «periodo di riposo» «qualsiasi periodo che non rientra nell’orario di lavoro». 6. La direttiva stabilisce poi una serie di regole quanto alla durata massima settimanale di lavoro (art. 6), ai periodi minimi di riposo giornaliero (art. 3), settimanale (art. 5) e annuale (art. 7) e quanto alla durata e alle condizioni del lavoro notturno (artt. 8, 9, 10, 11 e 12). Per ciò che concerne, in particolare, l’orario settimanale di lavoro, l’art. 6 dispone che «Gli Stati membri prendono le misure necessarie affinché, in funzione degli imperativi di protezione della sicurezza e della salute dei lavoratori (…), la durata media dell’orario di lavoro per ogni periodo di 7 giorni non superi 48 ore, comprese le ore di lavoro straordinario» (n. 2). 7. L’art. 16 fissa i periodi di riferimento che occorre prendere in considerazione per l’applicazione delle regole sopramenzionate e stabilisce segnatamente che per l’applicazione dell’art. 6 il «periodo di riferimento» non deve essere «superiore a quattro mesi». 8. La direttiva prevede, nel contempo, la facoltà  per le autorità  nazionali di derogare alle norme sull’orario di lavoro ivi contenute. In particolare l’art. 17 attribuisce agli Stati membri la competenza a derogare (per via legislativa, regolamentare o amministrativa o mediante contratti collettivi o accordi conclusi fra le parti sociali) agli artt. 3, 4, 5, 8 e 16 della direttiva «per le attività  di guardia, sorveglianza e permanenza caratterizzate dalla necessità  di assicurare la protezione dei beni e delle persone, in particolare, quando si tratta di guardiani o portinai o di imprese di sorveglianza»; nonché «per le attività  caratterizzate dalla necessità  di assicurare la continuità  del servizio o della produzione, in particolare, quando si tratta: i) di servizi relativi all’accettazione, al trattamento e/o alle cure prestati da ospedali o stabilimenti analoghi, da case di riposo e da carceri». Inoltre, l’art. 18 prevede che ogni Stato membro può non imporre il rispetto del tetto massimo delle 48 ore settimanali, sempre che esso subordini la deroga a specifiche condizioni tra le quali l’obbligo del datore di lavoro di chiedere e ricevere il consenso del lavoratore interessato [n. 1, lett. b) i), primo trattino]. 9. L’art. 18 fissa al 23 novembre 1996 il termine per l’attuazione della direttiva negli Stati membri. Tale disposizione prevede, tra l’altro, che al più tardi entro tale data, «le parti sociali applichino consensualmente le disposizioni necessarie, fermo restando che gli Stati membri devono prendere tutte le misure necessarie per poter garantire in qualsiasi momento i risultati imposti dalla (…) direttiva». Normativa nazionale 10. L’art. 6 del regio decreto n. 137 dell’11 gennaio 1984 (4) prevede quanto segue alla rubrica «Orario di lavoro»: «Le prestazioni del personale facente parte dell’équipe di pronto soccorso hanno una durata di 40 ore settimanali, fatte salve le prestazioni che possano essere richieste per la partecipazione agli orari di guardia, le richieste di soccorso a domicilio nonché quelle che presentano un carattere d’urgenza, conformemente a quanto prevedono gli statuti legali del personale medico e ausiliario della sanità  che rientrano nella sicurezza sociale e le loro regole d’applicazione (…)». 11. La Resolucià³n del 15 gennaio 1993 (5) contiene la decisione del Consiglio dei Ministri con la quale è stato approvato l’accordo concluso, il 3 luglio 1992, tra il Ministero della Sanità  e le organizzazioni sindacali più rappresentative nel settore del pronto soccorso in Spagna. L’allegato della predetta decisione dispone, alla rubrica B, che reca il titolo «Atencià³n continuada» (guardia), quanto segue: «In via generale, il numero massimo di ore di guardia è fissato a 425 ore all’anno. Per le équipe di pronto soccorso stabilite nelle zone rurali, che superano inevitabilmente le 425 ore all’anno fissate in via generale, il massimo è fissato a 850 ore all’anno, tenendo presente che l’obiettivo è di ridurre progressivamente il numero di ore di guardia (…)». 12. Il 7 maggio 1993 l’amministrazione della Regione Autonoma di Valencia ha ugualmente concluso, con i sindacati più rappresentativi (6), un accordo che, tra l’altro, fissa i tetti massimi di ore lavorative sul modello di quelli stabiliti nell’accordo generale del 1992 (7). Fatti e quesiti pregiudiziali 13. Il Sindacato de Médicos de Asistencia Pàºblica de la Comunidad Valenciana (sindacato dei medici dell’assistenza pubblica della Regione di Valencia; in prosieguo: il «SIMAP») introduceva, contro l’amministrazione della Generalidad Valenciana – Consellerà­a de Sanidad (Ministero della Sanità  della Regione di Valencia), un ricorso collettivo che riguardava tutto il personale medico (medici generici e medici specialisti in medicina familiare e pediatria), assegnato alle équipe di pronto soccorso dei Centros de Salud (unità  sanitarie) della Regione di Valencia. Con tale ricorso il SIMAP, invocando le disposizioni della direttiva, chiedeva che venisse riconosciuto ai predetti medici il diritto di svolgere una giornata lavorativa che non eccedesse le 40 ore o, in subordine, le 48 ore, ivi incluse le ore straordinarie, per ogni periodo di 7 giorni, nonché lo status di medici notturni (con conseguente applicazione ai medesimi delle disposizioni della direttiva) e di lavoratori a turni e che la giornata lavorativa notturna non eccedesse le 8 ore per ogni periodo di 24 ore o che, in caso di superamento, venissero concessi periodi equivalenti di riposo compensativo. 14. Nella sua ordinanza di rinvio il giudice a quo precisa che il SIMAP fa valere essenzialmente che, in virtù dell’art. 17, n. 3, del regolamento di organizzazione e funzionamento delle équipe di pronto soccorso della Comunità  di Valencia (regolamento abrogato a seguito della sentenza n. 1323/93 del Tribunale Superior de Justicia de la Comunidad Valenciana), che riproduce l’art. 6 del citato regio decreto n. 137/84, i medici che prestano servizio nelle dette équipe di soccorso sarebbero costretti a svolgere giornate lavorative indefinite, senza un termine, sia esso giornaliero, settimanale, mensile o annuale, in quanto la giornata lavorativa ordinaria si salderebbe al turno di guardia continuata e questa, a sua volta, alla giornata lavorativa del giorno successivo. 15. La giurisdizione di rinvio fa presente inoltre che, secondo una prassi interpretativa nazionale della normativa statutaria (di diritto pubblico) applicabile ai medici sopramenzionati, il tempo di lavoro dedicato alle guardie o ai periodi di reperibilità  continuativi non costituirebbe lavoro ordinario né lavoro straordinario, bensì speciale. Quest’ultimo tipo di lavoro, secondo la regolamentazione spagnola, viene retribuito globalmente a prescindere dell’intensità  dell’attività  svolta, ciò significa che, per la categoria di medici di cui è causa, soltanto le ore di assistenza effettive, prestate durante i periodi di guardia o di reperibilità , verrebbero computate nell’orario di lavoro. 16. Secondo il giudice a quo, infine, la direttiva non sarebbe stata trasposta, o almeno non lo sarebbe stata nella sua integralità . Il regio decreto del 21 settembre 1995, n. 1561 (8), relativo agli orari di lavoro di particolari settori di attività , è infatti limitato ai rapporti di lavoro privati e non contiene comunque alcuna disposizione relativa al settore della sanità . 17. Muovendo da queste premesse, di diritto e di fatto, il giudice a quo si rivolge alla Corte nelle forme del procedimento pregiudiziale per sapere se la direttiva trovi applicazione nei confronti dei medici che fanno parte delle équipe di pronto soccorso e, in caso affermativo, come vadano interpretate talune sue disposizioni. Egli formula in questa prospettiva i seguenti quesiti: «1) Questioni relative all’applicabilità  generale della direttiva A) Per effetto del tenore dell’art. 118 A del Trattato istitutivo della Comunità  europea e del riferimento contenuto nell’art. 1, n. 3, della direttiva a tutti i settori di attività , privati o pubblici, nel senso di cui all’art. 2 della direttiva 89/391/CEE, a termini del quale la direttiva stessa “non è applicabile quando particolarità  inerenti ad alcune attività  specifiche del pubblico impiego (…) vi si oppongono in modo imperativo (…)”, se debba intendersi che l’attività  dei medici delle Equipos de Atencià³n Primaria (équipe di pronto soccorso), interessate dalla presente controversia, rientri nella detta esclusione. B) L’art. 1, n. 3, della menzionata direttiva richiama parimenti il successivo art. 17 con la locuzione “fatto salvo”. Malgrado non esista, come precedentemente indicato, una normativa di armonizzazione statale autonoma, se tale silenzio debba essere interpretato quale deroga al disposto di cui agli artt. 3, 4, 5, 6, 8 e 16, quando, in considerazione delle specifiche caratteristiche dell’attività  svolta, l’orario di lavoro non preveda una durata media e/o preventivamente determinata. C) Se l’esclusione di cui all’art. 1, n. 3, in fine, della direttiva, relativa alle “attività  dei medici in formazione”, induca a contrario a ritenere che le attività  degli altri medici siano comprese nella sfera di applicazione della direttiva medesima. D) Se il riferimento alla piena applicazione delle disposizioni della direttiva 89/391/CEE alle materie indicate nel n. 2 della direttiva medesima presenti una rilevanza particolare con riguardo ai suoi effetti ed alla sua applicazione. 2) Questioni relative all’orario di lavoro A) L’art. 2, n. 1, della direttiva definisce l’orario di lavoro come “qualsiasi periodo in cui il lavoratore sia al lavoro, a disposizione del datore di lavoro e nell’esercizio della sua attività  o delle sue funzioni, conformemente alle legislazioni e/o prassi nazionali”. In considerazione della prassi nazionale descritta al punto 8 della parte in fatto della presente ordinanza e considerata l’inesistenza di norme di armonizzazione, se debba essere applicata la prassi nazionale che esclude dalle 40 ore settimanali il tempo dedicato alla guardia continuativa o se debbano applicarsi, in via analogica, le disposizioni generali e speciali in materia di orario di lavoro della normativa spagnola riguardante i rapporti di lavoro di diritto privato. B) Quando i medici interessati prestino turni di guardia continuativa mediante il sistema della reperibilità  e non mediante la presenza fisica nel centro sanitario, se tali periodi debbano essere interamente considerati quali periodi di lavoro ovvero se debba essere considerato periodo di lavoro solo il tempo effettivamente impiegato nello svolgimento dell’attività  per la quale i medici siano chiamati in base alla prassi nazionale descritta al precedente punto 8 della parte in fatto di questa ordinanza. C) Quando i medici interessati svolgano turni di guardia continuativa con presenza fisica nel centro sanitario, se tali periodi debbano essere interamente considerati quali periodi di lavoro ordinario ovvero quale orario speciale in base alla prassi nazionale descritta al precedente punto 8. 3) Con riguardo alla durata media del lavoro A) Se i periodi di lavoro dedicati alla guardia continuativa debbano essere presi in considerazione ai fini della determinazione della durata media del lavoro per ogni periodo di 7 giorni, conformemente al disposto di cui all’art. 6, n. 2, della direttiva. B) Come debbano essere considerate le ore straordinarie di guardia continuativa. C) Se, malgrado l’inesistenza di norme di armonizzazione, il periodo di riferimento di cui all’art. 16, n. 2, della direttiva possa ritenersi applicabile al pari, eventualmente, delle deroghe a tale norma previste dall’art. 17, nn. 2 e 3, in riferimento al n. 4. D) Se, per effetto della possibile disapplicazione dell’art. 6 della direttiva, prevista all’art. 18, n. 1, lett. b), della medesima, malgrado l’inesistenza di una normativa di armonizzazione, l’art. 6 della direttiva possa essere disapplicato in caso di consenso del lavoratore ad effettuare tale attività  lavorativa; se equivalga al consenso del lavoratore, sotto tale profilo, il consenso espresso dai rappresentanti sindacali in un accordo o contratto collettivo. 4) In relazione al carattere notturno del lavoro A) Considerato che l’orario di lavoro normale non è notturno, essendo notturni solo parzialmente i turni di guardia continuativa che possono ciclicamente ricadere su alcuni dei medici interessati, e a fronte dell’assenza di norme di armonizzazione, se possa ritenersi che tali medici vadano considerati lavoratori notturni ai sensi del disposto di cui all’art. 2, n. 4, lett. b), della direttiva. B) Se, agli effetti della facoltà  di cui all’art. 2, n. 4, lett. b), sub i), della direttiva, possa applicarsi ai medici interessati il cui rapporto di lavoro è disciplinato dal diritto pubblico la normativa nazionale in materia di lavoro notturno dei lavoratori il cui rapporto di lavoro è disciplinato dal diritto privato. C) Se l’orario di lavoro “normale” di cui all’art. 8, n. 1, della direttiva includa anche i turni di guardia continuativa in regime di reperibilità  o di presenza fisica. 5) In relazione al lavoro e ai lavoratori a turni Considerato che, per quanto attiene alla guardia continuativa, il lavoro viene svolto solamente a turni e in assenza di norme di armonizzazione, se l’attività  dei medici possa considerarsi lavoro a turni e questi possano essere considerati lavoratori a turni ai sensi dell’art. 2, nn. 5 e 6, della direttiva». Sulla ricevibilità  18. La Commissione contesta in via preliminare la ricevibilità  del rinvio pregiudiziale sotto un duplice profilo. Fa valere, in primo luogo, che l’ordinanza del giudice a quo non descriverebbe il quadro fattuale e normativo del giudizio principale e, in secondo luogo, che il ricorso del SIMAP e l’ordinanza di rinvio non si riferirebbero alla pertinente normativa nazionale attualmente in vigore, bensì a quella abrogata (abrogata, si sottolinea, ben cinque anni prima dell’introduzione del ricorso). A questo proposito la Commissione osserva che il giudice a quo, pur facendo presente tale circostanza nell’ordinanza di rinvio, si sarebbe limitato a menzionare l’accordo concluso il 7 maggio 1993 tra i sindacati e l’amministrazione nonché le istruzioni dell’amministrazione della Regione di Valencia che avevano dato esecuzione allo stesso, senza richiamare espressamente tale normativa nella formulazione dei quesiti pregiudiziali, ma anzi sottolineando l’assenza di una regolamentazione nazionale applicabile alla fattispecie. 19. Entrambi i profili della dedotta irricevibilità  sono senza fondamento. Quanto al primo, ritengo che il giudice a quo abbia descritto in maniera sufficientemente chiara il contesto di fatto e di diritto in cui si inseriscono le questioni pregiudiziali e che quindi l’ordinanza offra tutti gli elementi necessari per permettere alla Corte di pronunciarsi sui quesiti ivi contenuti. Quanto al secondo profilo, occorre considerare che il giudice del rinvio precisa, al punto quarto della sua ordinanza, che i quesiti rilevano sostanzialmente in riferimento all’applicazione del regime nazionale che distingue l’orario lavorativo settimanale (pari a 40 ore) dai turni continuativi di guardia e che il regime ivi richiamato è quello previsto dal citato accordo locale del 7 maggio 1993, attualmente ancora in vigore. Il giudice a quo richiama, inoltre, la prassi nazionale relativa all’interpretazione ed applicazione delle norme statutarie che disciplinano i rapporti tra i medici per cui è causa e l’amministrazione, prassi, questa, che non risulta essere stata sino ad oggi modificata. La circostanza che nel ricorso del SIMAP (cioè in un atto di parte del giudizio principale) venga richiamata unicamente la normativa abrogata (9) non può comportare l’irricevibilità  del rinvio; è noto infatti che, secondo la vostra consolidata giurisprudenza, «l’art. 177 del Trattato istituisce, tra la Corte di giustizia e i giudici nazionali, un procedimento di cooperazione diretta nel corso del quale le parti sono solo invitate a presentare osservazioni nell’ambito giuridico tracciato dal giudice a quo», con la conseguenza che «nei limiti fissati dall’art. 177 del Trattato spetta (…) ai soli giudici nazionali decidere del principio e dell’oggetto di un eventuale rinvio alla Corte» (10). Per tutte queste considerazioni vi suggerisco di rigettare l’eccezione di irricevibilità  sollevata dalla Commissione. Nel merito Sull’ambito di applicazione della direttiva 93/104 (quesiti 1A-1D) 20. Il giudice a quo si domanda, e domanda alla Corte, se le disposizioni della direttiva siano applicabili al «lavoro speciale» dei medici di guardia. · Argomenti delle parti 21. Secondo la Consellerà­a de Sanidad de la Generalidad Valenciana (parte resistente nel giudizio principale), l’attività  dei medici delle équipe di pronto soccorso esulerebbe dal campo di applicazione della direttiva 93/104 (definito mediante rinvio alla direttiva di base), in quanto sarebbe riconducibile all’eccezione prevista all’art. 2, n. 2, della direttiva di base. Essa fonda tale assunto sulla constatazione che l’attività  in parola presenta talune peculiarità , quali il fatto che il relativo servizio deve essere assicurato in maniera ininterrotta e che lo stesso costituisce un tipo di prestazione tradizionale all’interno della professione medica. 22. Il governo spagnolo sostiene, invece, che la predetta attività  dei medici rientrerebbe nell’ambito di applicazione della direttiva di base. Tuttavia, in considerazione della specificità  di tale attività  e in particolare del fatto che la sua durata non è predeterminata, a tali medici si applicherebbero le eccezioni previste dall’art. 17 della direttiva [tale attività  sarebbe, infatti, riconducibile a quella cui fa riferimento il n. 2.1, lett. c), sub i), di tale articolo] (11). 23. Il governo finlandese esclude che i medici delle équipe di pronto soccorso possano rientrare nelle esclusioni dall’ambito di applicazione sia della direttiva 93/104 che della direttiva di base. Per quanto concerne la prima, tale governo osserva che le esclusioni relative ad alcuni settori, previste all’art. 1, n. 3, avrebbero carattere esaustivo, come risulterebbe dal fatto che solo i medici «in formazione» ne sono espressamente esclusi. Riguardo alla direttiva di base lo stesso governo sostiene che l’esclusione prevista al suo art. 2, n. 2, riguarderebbe unicamente talune attività  specifiche nel pubblico impiego, aventi la finalità  di preservare l’ordine pubblico e la pubblica sicurezza. Tale finalità  non sarebbe riconducibile, o almeno non lo sarebbe nei casi normali, all’attività  della categoria di medici per cui è causa. 24. Anche la Commissione sostiene che l’attività  dei medici delle équipe di pronto soccorso non rientrerebbe nel campo di applicazione delle esclusioni previste nelle predette direttive. In particolare, la circostanza che all’art. 2, n. 2, della direttiva di base sia menzionato a titolo esemplificativo il personale delle forze armate e della polizia, nonché quello impiegato in attività  specifiche nei servizi di protezione civile, dimostrerebbe che le esclusioni si applicano s

 

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APPARENZA

E l’occhio che guarda dritto che fa la differenza .

Fantastico come il cervello elabora due volti in un unica posizione

Metà superiore frontale, metà inferiore di profilo
Provate a coprire metà foto alla volta, e capirete che l’occhio non può essere visto di profilo, e neppure il naso inteso come vista frontale… o almeno mi pare! 

 

effetto ottico

I .7. COMANDAMENTI . E . I . 7 . PRECETTI

tavole-della-legge-1

Oggi si parla soltanto dei DIECI COMANDAMENTI, Però in verità esistono sole SETTE COMANDAMENTI PRINCIPALI e SETTE PRECETTI.  I Comandamenti ed i Precetti furono mescolati insieme e più tardi falsificati. Quattro comandamenti non graditi furono sostituiti con altri ideati dall’uomo.

 

“E così vi parlo in Suo NOME”: Il vero codice di Dio non esiste purtroppo più su questa terra, caddero in balia dei malvagi. Le parole del profeta Mosè furono completamente falsificate dai sacerdoti di allora, che erano allo stesso tempo dei  governatori politici.

DIO desiderava che l’umanità della terra venisse istruita, sia sulla Creazione Universale, sia sulla vita attraverso le leggi della creazione.  Quindi la verità è la seguente:

 LA LEGGE INTERPLANETARIA DI DIO

 Al principio c’era una Energia senza spazio. Essa era il LOGOS, la Somma INTELLIGENZA.

  1.  Tu non sei in grado di render comprensibile con qualche paragone questa Energia ed Intelligenza. Tu non devi fare delle considerazioni su questa Energia, ma riconosci con il tuo intelletto e sentimento questa Intelligenza come TUO CREATORE. Ogni altro pensare su questo argomento è male.
  2. Tu non devi agire né vivere contro le Leggi della Natura, poiché Tu danneggeresti non solo Te e la Tua Anima, ma molti dei Tuoi discendenti, che poi non si potrebbero aiutare in alcun modo se Tu avessi danneggiato la creazione intelligente divina. Tu sei pienamente responsabile per ogni dolore su questa terra (perché dovuto all’azione dell’uomo in violazione delle Leggi divine).

  3. Tu non devi schermire né perseguire il Tuo Creatore, anche se tu, col tuo pensiero non sviluppato, non sei in grado né di capirLo né di comprenderLo, poiché tu non sei di più, ma di meno di DIO. Perciò non sporcare il SUO NOME e non livellarlo al tuo modo di pensare. Non criticare il LOGOS, poiché ESSO è infallibile per la Sua infinita esperienza e forza.

  4. Si instancabilmente attivo sia nel pensare che nell’agire. Però sappi che il pensiero rappresenta la Somma Forza e la più alta eredità di DIO. Il tuo pensiero ha una portata incalcolabile in questo o nell’altro mondo. Pensa al TUO CREATORE con profonda venerazione, sia nella procreazione dei tuoi discendenti, come anche nel formare tutte le cose e crea ogni cosa solo per il bene e giammai per il disonore di DIO e di Te stesso. Abbi stima della infaticabile diligenza del Creatore e onora il lavoro del tuo prossimo che opera col sudore per servire il CREATO a gloria di DIO.

  5. Non fare differenza tra povero e ricco, né tra giovane e vecchio o fra le varie razze. Onora le esperienze e stima il dolore. Ascolta il consiglio dei Tuoi genitori in quanto essi credono in DIO CREATORE. Senza questa fede potrai forse diventar ricco, ma giammai felice, né contento e tanto meno beato.

  6. Il Tuo Creatore desidera che tu stimi la vita nel mondo, come la Sua Forza. Tu non hai il diritto di decidere circa la vita del Tuo prossimo. Combatti il male e le forze distruttrici della natura.
    Non uccidere nessun animale per il Tuo piacere, ma solo per mantener ed assicurare la tua vita.

  7. Non danneggiare il prossimo né nel corpo né nell’anima, né nella riputazione o nei suoi beni personalmente ottenuti col suo lavoro. Non danneggiarlo nella sua evoluzione, né nel suo amore, né nella sua libertà, ma aiutalo sempre in tutte queste cose, senza aspettare ringraziamenti. Però porta il Tuo contributo per la Verità e per il mantenimento di tutte le disposizioni, che fanno progredire la Tua vita, la Tua salute e la Tua evoluzione spirituale e quella della Tua anima.

Si prega di meditare questi 7 Comandamenti, di Viverli e di diffonderli nella umana Società.

  

I SETTE PRECETTI

  1. Non procreare per il tuo piacere, ma per la volontaria prontezza di sacrificio di aiutare una anima ad una migliore conoscenza di se stesso perché possa pervenire all’indipendenza nel pensare e nell’agire.

  2. Stima la compagna della Tua vita come la latrice responsabile della volontà e della vita divina e come la preparatrice della via dell’ampio piano del futuro. Il mancato conseguimento avrà come conseguenza inevitabile una distruzione lenta, ma sicura (vedi Aborto!).

  3. Non appropriarti i tesori di questa terra, poiché sono dati per tutte le creature: a tutti senza alcuna differenza esteriore, secondo i meriti e necessità.

  4. Non invidiare il prossimo, né un gruppo né un popolo e neanche una razza né un paese nel quale la gente vive per sé, poiché non puoi sapere con sicurezza, che la tua invidia provenga da un errore che non è ancora conosciuto.

  5. Non usare nessuna violenza, anche se credi di essere il più forte o il provocato, poiché ogni violenza è una provocazione di forze sinistre che distruggono non solo il Tuo avversario, ma Te stesso e rendono più difficile o impossibile l’avvenire dei tuoi discendenti.

  6. Rivolgiti in tutte le difficoltà, al LOGOS (a Dio) e respingi i consigli dei tuoi consiglieri e nemici che mirano alla tua rovina.

  7. Non aver fiducia nei tuoi sensi poiché solo la Tua anima è capace di prendere l’estrema decisione; ed in questo caso solo DIO e nessun’altro, ti aiuterà.

QUERELA

Quando decade una denuncia penale

Quando decade una denuncia penale

L’AUTORE: 

Sabina Coppola

> Lo sai che?Pubblicato il 24 luglio 2017

Il diritto di presentare una querela decade dopo tre mesi, il diritto di presentare una denuncia non decade mai.

La denuncia penale può essere presentata senza limiti di tempo (quindi non decade mai) in quanto dà impulso allo svolgimento di indagini relative ad un reato procedibile d’ufficio, contro il quale il pubblico ministero procederà anche senza la volontà e l’interesse della persona offesa.  La querela, invece, deve essere presentata, a pena di decadenza, entro tre mesi dalla data in cui è stato commesso il reato che si narra (o, comunque, dal giorno in cui il querelante ne ha avuto notizia): è prevista per i reati meno gravi per i quali il pubblico ministero non procede se manca la richiesta della persona offesa di punire il colpevole. Si badi bene che la querela non decade; ciò che decade è il diritto della persona offesa dal reato a presentare l’atto di querela.

La querela e la denuncia

Per alcuni tipi di reato (quelli meno gravi e puniti con pene meno severe) lo stato (per noi, processualmente, identificato nel pubblico ministero che svolge le indagini) può procedere solo se vi è un interesse della persona offesa ad ottenere la punizione del colpevole; interesse manifestato attraverso l’atto di querela al termine del quale deve esserci espressa richiesta di punizione, senza la quale si dice che il reato è improcedibile. Viceversa, la procura potrà perseguire i reati più gravi (e, quindi, dare inizio alle indagini e poi chiedere che il responsabile sia processato) anche in assenza di un interesse da parte della persona offesa. Per tali reati (che si definiscono procedibili d’ufficio) basterà la sola denuncia, idonea a porre l’autorità giudiziaria a conoscenza del fatto verificatosi.

Per la denuncia, che può essere presentata da chiunque (anche da un soggetto che non abbia subito il fatto che narra ma abbia solo assistito al suo verificarsi), non è previsto alcun termine di decadenza, mentre la querela, deve essere presentata:

  • entro tre mesi dal giorno in cui si ha notizia del fatto che costituisce il reato;
  • entro sei mesi, se si tratta del reato di stalking e dei reati contro la libertà sessuale (violenza sessuale o atti sessuali con minorenne).

I reati procedibili a querela (per i quali, pertanto, decorso il termine di decadenza senza che la persona offesa abbia presentato la querela, lo stato non potrà più procedere), a titolo esemplificativo, sono:

  • la minaccia [1];
  • le percosse [2];
  • le lesioni personali [3];
  • le molestie o il disturbo alle persone [4];
  • la violenza sessuale [5];
  • lo stalking (a meno che non vi sia stato l’ammonimento da parte del questore che rende il reato procedibile d’ufficio)[6].

I reati procedibili d’ufficio (per i quali è sufficiente presentare la querela che non è soggetta a termini di decadenza), a titolo esemplificativo, sono:

  • i maltrattamenti in famiglia [7];
  • la minaccia grave o fatta con armi [8];
  • le lesioni personali, superiore ai 20 giorni o gravissime [9];
  • le pratiche di mutilazione degli organi genitali femminili [10];
  • la violenza privata [11];
  • l’estorsione [12];
  • la violenza sessuale ad un minore fino ai 14 anni o di gruppo [13];
  • lo stalking nei confronti di un minore o di persona con disabilità [14];
  • l’omicidio [15].

Dunque, in caso di reati perseguibili a querela, è necessario l’intervento della persona offesa (senza la quale non inizierà alcun processo), mentre per i reati perseguibili d’ufficio, anche se la persona offesa decidesse di non voler iniziare  o proseguire  l’azione penale, lo farebbe lo stato autonomamente.

La remissione di querela

Al querelante (persona offesa  che ha querelato i fatti) è  riconosciuta la possibilità di rimettere la querela, in ogni tempo e in ogni stato del processo, finché non sia intervenuta una sentenza irrevocabile di condanna [16].

Se, presa dalla rabbia querelo il mio ex marito per una minaccia subita, ed inizia un processo penale contro di lui, quando mi chiamano per testimoniare – se mi sono resa conto che era stato solo un brutto momento e che non era serio e pericoloso – posso ritirare (tecnicamente rimettere) la querela ed il processo si concluderà immediatamente (senza condanna per il mio ex marito). La remissione di querela, infatti, nei reati procedibili a querela, fa venire meno la necessaria condizione di procedibilità. In caso di remissione, le spese processuali del giudizio saranno a carico del querelato, se non è stato concordato diversamente.

Si badi bene che la remissione di querela (fatta dal querelante) deve essere accettata dal querelato (espressamente o tacitamente, magari non comparendo all’udienza e non costituendosi parte civile).

Sebbene la regola dei reati procedibili a querela di parte sia quella della remissibilità, il codice prevede che per alcuni reati sia negata tale possibilità: non è possibile, ad esempio, rimettere la querela quando si tratti di reati contro la libertà sessuale della persona offesa o quando il reato di atti persecutori sia stato posto in essere con minacce di particolare gravità.

Ma cosa accade in caso di denuncia? E’ di facile intuizione, per quanto detto sopra, comprendere che in caso di denuncia (per reati procedibili d’ufficio) non vi potrà essere alcuna remissione. Perché lo stato procederà a prescindere dalla volontà della vittima del reato. Anche se la persona offesa procedesse a rimettere la sua denuncia e decidesse di non costituirsi parte civile (per ottenere il risarcimento dei danni) il processo andrebbe avanti e il colpevole sarebbe punito.

note

[1] Art. 612 cod. pen.

[2] Art. 581 cod. pen.

[3] Art. 582 cod. pen.

[4] Art. 660 cod. pen.

[5] Art. 609 bis cod. pen.

[6] Art. 612 bis cod. pen.

[7] Art. 572 cod. pen.

[8] Art. 612 cod. pen.

[9] Artt. 582, 583 cod. pen.

[10] Art. 583 bis cod. pen.

[11] Art. 610 cod. pen.

[12] Art. 629 cod. pen.

[13] Art. 609 cod. pen.

[14] Art. 612 bis cod. pen.

[15] Art. 575 cod. pen.

[16] Art. 340 cod. proc. pen.